martedì 26 giugno 2018

Trinità di Rublëv, a simbolo dell'unità con la Chiesa

Andrej Rublëv realizzò questa icona nel 1442 per la canonizzazione di Sergio di Radonež, fondatore del monastero della Trinità di San Sergio. Il committente chiese al pittore di trasmettere l’idea dell’unità della Russia intorno alla sua Chiesa, obiettivo perseguito dal santo. Solo da una fede profondamente vissuta poteva scaturire un’immagine cosi potente.
Un’icona non si dipinge, si scrive. Essa, infatti, rappresenta un testo il cui alfabeto sono i colori, le linee, le espressioni dei volti dei personaggi raffigurati e racconta, svela una verità della Fede. Gli iconografi sostengono di vivere un’esperienza spirituale, una visione interiore che traducono, poi, figurativamente. 
È il caso della tavola che Andrej Rublëv realizzò nel 1442 per la canonizzazione di Sergio di Radonež, fondatore del monastero della Trinità di San Sergio, il più importante centro spirituale della chiesa ortodossa russa. Il committente, l’egumeno, la guida del suddetto cenobio chiese al pittore di trasmettere l’idea dell’unità della Russia intorno alla sua Chiesa, obiettivo che San Sergio aveva perseguito per tutta la vita. Solo da una fede profondamente vissuta sarebbe potuta scaturire un’immagine cosi potente nella sua apparente e pacata semplicità.
Rublëv si rifece a una fortunata tradizione iconografica -considerate le molteplici rivisitazioni artistiche succedutesi lungo i secoli - alla base dello sviluppo della quale vi è, probabilmente la riflessione che Sant’Agostino fece a proposito del brano della Genesi, relativo alla visita dei tre angeli ad Abramo presso le Querce di Mamre. Tres vidit et unum adoravit, scrisse il santo filosofo di Ippona che interpretò questo episodio quale anticipo del mistero trinitario.
Tre figure cinte da aureole sono sedute intorno a un tavolo, al centro del quale sta il calice, simbolo eucaristico del sacrificio di Cristo. Come spesso accade, anche qui l’iconografo utilizza la prospettiva inversa ottenuta facendo convergere le linee di fuga non in un punto dietro al dipinto ma davanti ad esso, in primo piano. In questo modo non è lo spettatore che “entra” nella realtà rappresentata ma, viceversa, è il soggetto che si fa incontro all’osservatore. Dicevamo: una verità che si svela… Sullo sfondo si riconoscono una casa, dimora di Abramo, il “luogo” della Chiesa e una quercia, un albero, quello dell’Eden ma anche il legno della croce. 
Delle tre figure Dio Padre è quello a sinistra, speculare allo Spirito Santo sul lato destro: l’angelo al centro è figura del Figlio. L’ordine scelto dal pittore è, dunque, quello, in cui professiamo la nostra fede nel Credo. 
Non è graficamente evidenziato ma, guardando bene, i Tre personaggi sono iscritti in un cerchio, simbolo di perfezione, di eternità, di un amore che non ha né un inizio né una fine, rivolto, come i loro sguardi, al tavolo, forma invece perfettamente distinguibile, quadrangolare come la terra e il creato.
Anche i colori assumono, in questo caso, un ruolo importante.L’oro è la regalità propria di Dio e del Figlio in quanto sacerdote, cui appartiene anche il rosso, in virtù del Suo sacrificio. Il verde, simbolo di vita, è dono dello Spirito Santo. L’azzurro, o blu che dir si voglia, è proprio di tutta la triade perché sta a significare la vita eterna. 
Nel 1551, a Mosca, il Concilio dei Cento capitoli stabilì che l'iconografia di Rublëv fosse il modello per antonomasia per ogni pittura ecclesiastica e che la sua interpretazione della Trinità fosse, ed effettivamente ancora lo è, l’icona delle icone. E Andrej è venerato come santo dalla chiesa ortodossa. 

Articoli di Margherita del Castillo  http://www.lanuovabq.it/it/trinita-di-rublev-a-simbolo-dellunita-con-la-chiesa

martedì 12 giugno 2018

Il monaco non conosce altro fine che Dio


Il monaco non conosce altro fine che Dio, il mono che l'uomo che vive radicalmente questa ricerca del fine ultimo, nella sua ricerca è Dio stesso che lo spinge, è colui che cerca Dio, di qui la la necessità del silenzio per ascoltare nell'intimo la parola di Dio che lo incalza, il silenzio la solitudine sono piuttosto già la prima lontana percezione di quel Dio che vive nel cuore del monaco. Leclerc insegna che la realtà essenziale della vita monastica, consiste nell'essere una forma di vita religiosa che non è al confine secondario specifico, proprio per questa definizione che il grande studioso del monachesimo ci ha dato, noi ci sentiamo monaci, Dio chiama alcuni a vivere per lui nella preghiera nell'unità nella pace pur lasciando li in mezzo agli uomini, altri egli li chiama a vivere la medesima vita e la solitudine nel distacco effettivo da tutto, chi vive nell'eremo e in condizioni più favorevole per attuare la propria vocazione divina, chi vive nel mondo e fosse in condizioni migliori per rendere gli uomini testimonianza di Dio, gli uni e gli altri tuttavia debbono vivere un medesimo impegno, debbono rispondere alla stessa chiamata, la separazione dal mondo che è un elemento essenziale della spiritualità monastica, e in ordine ad una carità che deve realizzare la nostra unione più intima non solo con Dio ma con tutti i fratelli. https://www.youtube.com/watch?time_continue=92&v=NnXyZMYwp1k
                                                                           (Don Divo Barsotti)

domenica 3 giugno 2018

Don Divo Barsotti. «Viene l'ora ed è questa».


Stralci dall'esegesi spirituale, alle suore Benedettine.

La vita religiosa è sempre rapporto personale. Dice Gesù: "I Giudei hanno ragione, «ma viene l'ora ed è questa.....»" Non vi è passato, non vi è futuro, non vi è Gerusalemme..... tutto qui. Fate questo gioco con Nostro Signore, dicendo:"Quando sarò in Paradiso come si starà bene!". Dice Gesù all'anima: Dove il Paradiso? Se io sono qui, vi è ancora un altro Paradiso per te? Capite che cosa è di immenso gesta parola: «viene l'ora ed è questa».  Puoi pensare davvero ad altro tempo, ad altro luogo, ad altra vita di quella che ora tu vivi, se tu mi ricevi? «Viene l'ora ed è questa». L'adorazione al di fuori di quell'atto non esiste il Paradiso, non esistono i santi, non esiste più nulla. Egli è, ed è tutto per te. «Viene l'ora ed è questa» Imparatele a mente, sono parole veramente divine, l'incontro reale con Dio, una trasfigurazione del tutto l'umano,un possesso beato di Dio da parte dell'anima. «Viene l'ora ed è questa». Egli è li. Dove? Qui con te, ora. Perchè non lo diceva mica duemila anni fa Nostro Signore, lo dice ora a te: «viene l'ora ed è questa». Dio è qui ed è tutto per me. Ma notate bene: non siete voi che lo andate a cercare; ovunque voi andate, lo trovte, e li che vi attende. Se scendete ora in giardino, è li, è li. Se andate in cucina, è li. Se siete al lavoro, è li. Egli vi attende ovunque voi siete. Egli già è ad aspertarvi in quel luogo, perchè Egli ti vuole, ma vuole sopratutto donarsi.; perciò ti chiede una cosa sola: che tu lo riceva. «Viene l'ora ed è questa».         (Don Divo Barsotti)
https://comunitafiglididio.it                https://www.avvenire.it/agora/pagine/barsotti-cerco-dio-solo